Tipologie di carattere


Forza/debolezza
Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Considerazioni inattuali II, 1874)

5.

Così deve essere compresa e meditata la mia tesi: la storia viene sopportata solo dalle personalità forti, quelle deboli le cancella del tutto. La ragione di ciò sta nel fatto che essa confonde il sentimento e la sensazione, quando questi non sono abbastanza vigorosi da commisurare a sé il passato. Chi non ha più fiducia in sé e involontariamente, per il suo sentire, si consiglia con la storia domandando: «come devo qui sentire?», si trasforma lentamente, per paura, in attore, e recita una parte, nella maggior parte dei casi perfino più parti, rappresentandole quindi tutte male e con superficialità.

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)

Volume II

67.

Il mondo dei diminutivi. - Il fatto che tutto ciò che è debole e bisognoso di aiuto parla al cuore, ci abitua a designare con termini diminutivi e vezzeggiativi tutto quel che parla al nostro cuore - a renderlo dunque, per il nostro sentimento, debole e bisognoso di aiuto.

La gaia scienza (1882)

24. Diversa insoddisfazione.

Gli insoddisfatti deboli e per così dire femminei sono i più inventivi quanto all'abbellimento e all'approfondimento della vita; gli insoddisfatti forti ― coloro in cui prevale la componente maschile, tanto per restare nel paragone, lo sono invece per quel che riguarda il miglioramento e il consolidamento della vita. I primi mostrano la loro debolezza e femminilità facendosi ingannare, ogni tanto, e provando nel far ciò una qualche ebbrezza ed entusiasmo, ma in fondo non sono mai soddisfatti e soffrono per l'inguaribilità della loro insoddisfazione; inoltre sono loro a incoraggiare tutti coloro che realizzano conforti oppiacei e narcotici, prendendosela con chi stima il medico più del prete ― e così permettono il permanere delle vere emergenze!

Se fin dal Medioevo in Europa non ci fosse stata sovrabbondanza di insoddisfatti di questo genere, probabilmente la tanto celebrata facoltà degli Europei di trasformarsi in continuazione non sarebbe neppure nata: perché le esigenze dei fortemente insoddisfatti sono troppo rozze e in fondo troppo poco modeste per non potere essere in fondo placate.

L'Europa è un malato debitore di immensi ringraziamenti alla propria inguaribilità e alla perpetua trasformazione della sua sofferenza; queste situazioni costantemente nuove, questi pericoli, dolori e mezzi di informazioni costantemente nuovi hanno prodotto, in ultima analisi, una sensibilità intellettuale che è molto vicina al genio ed è comunque madre di ogni genio.

28. Nuocere con il proprio meglio.

Le nostre forze, nel frattempo, ci spingono tanto avanti che non sopportiamo, più le nostre debolezze, le quali ci mandano in rovina; prevediamo benissimo anche questo esito, ma non ne vogliamo un altro. Allora diventiamo duri nei confronti di quanto, dentro di noi, vuole essere risparmiato, e la nostra grandezza è anche la nostra mancanza di misericordia. Una tale esperienza, che dovremo in fondo pagare con la vita, è una parabola di tutta l'influenza degli uomini grandi sugli altri e sul loro tempo: ― proprio con quanto hanno di meglio, con l'unica cosa che sanno fare, mandano in rovina molti deboli, insicuri, venturi, volitivi, risultando così dannosi. Sì, può anche capitare che essi, complessivamente, arrechino danni soltanto perché quanto hanno di meglio è accolto e per così dire tracannato soltanto da coloro che vi perdono il loro intelletto e il loro egoismo, come con una bevanda troppo forte: sono così ebbri che debbono rompersi tutti gli arti sulle vie dove li conduce l'ebbrezza.

290. Una sola cosa è necessaria.

«Conferire uno stile» al suo carattere - che arte grande e rara! La esercita colui che domina con lo sguardo tutte le forze e le debolezze offerte dalla sua natura e le inserisce poi in un piano artistico finché ciascuna di esse non appare come arte e ragione e anche la debolezza rapisce gli occhi. Qui è stata aggiunta una gran quantità di natura secondaria, là è stato tolto un pezzetto di natura primaria - entrambe le operazioni hanno richiesto un lungo esercizio e lavoro quotidiano. Qui il brutto che non si può togliere resta nascosto; là è stato trasformato in sublime. Molto del vago che si opponeva all'essere plasmato è stato risparmiato e sfruttato per le vedute prospettiche: dovrà accennare a qualcosa di lontano e incommensurabile. Infine, quando l'opera è compiuta, si rivela che è stata la coercizione del medesimo gusto a dominare e a plasmare, nel grande come nel piccolo: che il gusto fosse buono o cattivo significa meno di quanto non si pensi - basta che fosse un gusto!

Saranno le nature forti e avide di dominio a godere in una tale coercizione, in una tale disciplina e compiutezza sotto la propria legge la loro gioia più raffinata; la passione della loro violenta volontà si sente sollevata alla vista di ogni natura stilizzata, di ogni natura sconfitta e servitrice; anche quando debbono costruire palazzi e disegnare giardini, trovano ripugnante liberare la natura. Al contrario sono i deboli, i caratteri non padroni di se stessi, a odiare la disciplina dello stile: essi sentono che, se fossero soggetti a questa coercizione amaramente malvagia, diverrebbero persone volgari; essi divengono schiavi non appena servono e, per questo, odiano servire. Tali spiriti - possono essere anche spiriti di prim'ordine - tendono sempre a plasmare o interpretare se stessi e quanto li circonda come natura libera - selvaggia, arbitraria, fantastica, straordinaria, sorprendente: e fanno bene, perché soltanto così giovano a se stessi! Perché una sola cosa è necessaria: che l'uomo sia soddisfatto di se stesso - foss'anche soltanto per questa o quella poesia e opera d'arte; soltanto così, infatti, risulta sopportabile da vedersi. Chi è insoddisfatto di se stesso è sempre pronto a vendicarsene: noialtri dobbiamo essere le sue vittime, foss'anche soltanto perché dobbiamo sopportare la sua orribile vista. Perché vedere le cose brutte rende cattivi e cupi.

318. Saggezza nel dolore.

Nel dolore c'è tanta saggezza come nel piacere, perché entrambi fanno parte delle energie di prim'ordine che attendono alla conservazione della specie. Se non lo fosse, sarebbe da lungo tempo scomparso; il fatto che fa male non è un argomento contro di lui, perché è la sua essenza. Odo, nel dolore, il grido di comando del capitano della nave: «Ammainate le vele!». L'ardito navigante uomo deve aver imparato a disporre le vele in mille modi, altrimenti finirebbe anche troppo presto, e l'oceano lo inghiottirebbe in un baleno. Dobbiamo saper vivere anche con energie ridotte: non appena il dolore invia il segnale di sicurezza, è giunta l'ora di ridurle, e faremmo bene a «consumarne» il meno possibile. vero che ci sono uomini che, all'avvicinarsi di un grande dolore, gridano esattamente il comando opposto e che non lanciano mai sguardi più superbi, bellicosi e felici di quando si avvicina la tempesta; sì, è lo stesso dolore a procurare loro i momenti più grandi! Sono gli uomini eroici, i grandi portatori di dolore dell'umanità: quei pochi o quei rari per cui è necessaria la stessa apologia come per il dolore - e, davvero, non gliela si può negare! Sono energie di prim'ordine, quelle che conservano e promuovono la specie, foss'anche soltanto perché si oppongono agli agi e non nascondono la loro nausea per questo genere di felicità.

Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell’avvenire (1886)

30.

Ciò che è balsamo e nutrimento per la specie più elevata degli uomini, deve essere quasi veleno per una specie assai diversa e inferiore. Le virtù dell'uomo comune avrebbero forse in un filosofo il significato di vizio e di debolezza; sarebbe possibile che un uomo di tipo superiore, posto che degenerasse e andasse in rovina, giungesse solo in questo modo a possedere le qualità in virtù delle quali fosse sentita la necessità di venerarlo come un santo, nel mondo abietto nel quale è sprofondato.

Esistono libri che hanno per l'anima e per la salute un valore opposto a seconda che se ne serva un'anima volgare, un'inferiore forza vitale, oppure la più elevata e possente; nel primo caso quei libri sono pericolosi, stritolano e dissolvono, nell'altro sono i richiami dell'araldo che invitano i più prodi a dar prova del loro valore. I libri per tutti sono sempre libri maleodoranti: vi si attacca l'odore della piccola gente. Dove il popolo mangia e beve, persino dove adora, lì di solito c'è fetore. Non bisogna entrare in una chiesa, se si vuole respirare aria pura.

La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto (1887-1888)

44.

Mettere in gioco la propria vita, la propria salute, il proprio onore, è la conseguenza della audacia e di una volontà prodiga che trabocca: non per amore degli uomini, ma perché ogni grande pericolo provoca la nostra curiosità in rapporto alla nostra forza, al nostro coraggio.

48.

Uno spirito che voglia cose grandi, che voglia anche i mezzi per questo, è necessariamente scettico: con ciò non è detto che debba pure sembrarlo. La libertà da ogni genere di certezza appartiene alla sua forza, il poter guardare liberamente. La grande passione, il fondamento e la potenza del suo essere, ancor più illuminata e dispotica di quanto sia egli stesso, prende al proprio servizio tutto il suo intelletto (e non solo in proprio possesso); lo rende sicuro; gli dà il coraggio di mezzi sacrileghi (perfino sacri), permette certezze, adopera e consuma le stesse certezze, ma non si sottomette ad esse. Ciò fa sì che essa si riconosca da sola come sovrana. Al contrario: il bisogno di fede, di qualcosa di incondizionato nel sì e nel no, è un bisogno della debolezza; ogni debolezza è debolezza-di-volontà; ogni debolezza della volontà deriva dal fatto che nessuna passione, nessun imperativo categorico comanda. L'uomo della fede, il «credente» di ogni genere è necessariamente una specie dipendente di uomo, cioè tale da non saper porre se stessa come fine, né in generale porre fini a partire da sé che si deve lasciar consumare come mezzo... Essa istintivamente tributa il più alto onore a una morale della spersonalizzazione; ogni cosa la persuade a essa, la sua intelligenza, la sua esperienza, la sua vanità. E anche la fede è ancora una forma della spersonalizzazione.

51.

Si deve aver coraggio in corpo, per permettersi una cattiveria: i più sono troppo vili per questo.

77.

In rapporto alle resistenze che una forza trova per dominarle, deve crescere la misura del fallimento e della fatalità in tal modo sfidati; e nella misura in cui ogni forza può scaricarsi soltanto contro qualcosa che oppone resistenza, in ogni azione vi è necessariamente un ingrediente di dispiacere. Solo questo dispiacere funziona da stimolo della vita e fortifica la volontà di potenza!

Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è (1888)

Perché sono così saggio

6.

Poter essere ostile, essere ostile: questo presuppone forse una natura forte, in ogni caso è presupposto di ogni natura forte. Essa ha bisogno di ostacoli, di conseguenza essa cerca gli ostacoli: il pathos aggressivo appartiene necessariamente alla forza, tanto quanto il sentimento di vendetta e il risentimento appartiene alla debolezza. La donna, ad esempio, è vendicativa: questo è proprio della sua debolezza, come la sua sensibilità di fronte alle pene altrui.

- La forza dell'attaccante trova una sorta di criterio di misura nel nemico di cui ha bisogno: ogni crescita si rivela nella ricerca di un avversario o di un problema più potente: perché un filosofo che sia combattivo sfida a duello anche i problemi. Il compito non è quello di dominare le resistenze in generale, ma quelle contro le quali si deve impiegare tutta la propria forza, la propria duttilità e abilità nell'uso delle armi, avversari di pari valore...

Parità con il nemico condizione prima per un duello leale. Dove si disprezza non si può far guerra; dove si comanda, dove si vede qualcosa sotto di sé, non si deve far guerra.

L’Anticristo (1888)

II

Che cosa è bene? Tutto ciò che accresce il senso di potenza, la volontà di potenza e la potenza stessa dell’uomo.

Che cosa è male? Tutto ciò che deriva dalla debolezza.

Che cosa è la felicità? Sentire che la potenza aumenta, che si vince una resistenza.

Non soddisfazione, ma più potenza; non pace universale, ma guerra; non virtù, ma abilità (virtù nello stile rinascimentale, virtus, libera da convenzioni morali).

I deboli e i malriusciti dovranno perire: primo principio della nostra filantropia. Inoltre li si dovrà aiutare a farlo.

Che cosa è più dannoso di qualsiasi vizio? L'attiva pietà per tutti i deboli e i malriusciti, il cristianesimo...

Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello (1888)

Detti e frecce

8.

Dalla scuola di guerra della vita. Quello che non mi ammazza mi rende più forte.

Superiore/inferiore
Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)

Volume I

224.

Nobilitazione tramite la degenerazione. - La storia insegna che di un popolo si conserva meglio quella stirpe in cui la maggior parte degli individui possiede vivo il senso della comunità che consegue all’uguaglianza dei loro principi abituali e indiscutibili, che consegue, dunque, alla loro fede comune. Qui il costume buono e onesto si rafforza, qui si impara la subordinazione dell’individuo e sin dalla prima infanzia si dà in dono al carattere quella fermezza, che vien poi ancora instillata con l’educazione. Il pericolo di queste comunità forti, basate su individui pieni di carattere e di ugual natura, è il progressivo instupidimento, via via accresciuto dall’eredità, che come un’ombra accompagna ogni stabilità. Sono gli individui meno vincolati, molto più insicuri e moralmente più deboli di quelli da cui dipende il progresso spirituale di tali comunità: essi sono gli uomini che tentano cose nuove e molteplici. Innumerevoli sono gli individui di questo tipo che, per la loro debolezza, periscono senza esercitare un influsso molto sensibile; ma in generale, soprattutto quando hanno discendenti, essi indeboliscono l’elemento stabile di una comunità e di tanto in tanto producono in esso una ferita. Proprio in questo punto ferito e più debole viene per così dire inoculato qualcosa di nuovo a tutta la comunità; ma essa dev’essere nell’insieme tanto forte da poter accogliere nel suo sangue e assimilare questo elemento nuovo.

Le nature devianti sono della massima importanza ovunque debba prodursi un progresso; ogni progresso deve nell’insieme esser preceduto da un parziale indebolimento. Le nature più forti conservano il tipo, quelle più deboli contribuiscono a farlo evolvere. Qualcosa di simile avviene per l’individuo singolo: raramente si ha una degenerazione, una mutilazione, persino un vizio e in genere una perdita fisica e morale senza che si produca un vantaggio da un’altra parte. L’uomo malato, ad esempio, in mezzo a una stirpe irrequieta e bellicosa avrà maggiori possibilità di starsene appartato e di diventare più saggio, l’orbo avrà un occhio più acuto, il cieco guarderà più profondamente nel suo intimo e ad ogni modo avrà un orecchio più fino.

In questo senso, la famosa lotta per l’esistenza non mi sembra essere l’unico punto di vista dal quale possano spiegarsi il progredire o il rafforzarsi di un uomo o di una razza. E’ necessario, piuttosto, il concorso di due elementi diversi: in primo luogo l’accrescimento della forza stabile tramite l’unione degli spiriti nella fede e nel sentimento comune; poi la possibilità di realizzare scopi superiori con il presentarsi di nature degeneranti e, in causa loro, di parziali indebolimenti e ferite della forza stabile; proprio la natura più debole, in quanto più libera e delicata, rende in genere possibile qualsiasi progresso. Un popolo che in qualche punto sia debole e poco compatto, ma nell’insieme ancora forte e sano, è in grado di ricevere l’infezione del nuovo e di incorporarla a suo vantaggio.

225.

Lo spirito libero è un concetto relativo. - Vien detto spirito libero colui che pensa in modo diverso da come ci si aspetterebbe in base alle sue origini, al suo ambiente, al suo ceto sociale e al suo ufficio, o in base alle opinioni dominanti. Egli è l’eccezione, gli spiriti vincolati sono li regola; questi gli rimproverano che i suoi liberi principi derivano dalla smania di farsi notare, o addirittura che lasciano supporre azioni libere, azioni cioè incompatibili con la morale vincolata. Talvolta si dice altresì che questi o quei liberi principi sian da ricondurre a stravaganza o a ipertensione della mente; ma così parla solo la cattiveria, che non crede essa stessa a quanto dice ma pure vuole, in tal modo, nuocere: poiché la testimonianza della maggiore bontà e acutezza d’intelletto dello spirito libero gli sta normalmente scritta in viso, così leggibile che gli spiriti vincolati la capiscono benissimo.

Ma le altre due vie da cui proverrebbe la libertà di spirito sono pensate onestamente; in realtà, anche molti spiriti liberi nascono nell’uno e nell’altro modo. Ma proprio per questo i principi cui essi sono giunti per quelle vie potrebbero essere più veri e più fidati di quelli degli spiriti vincolati. Nella conoscenza della verità, quel che importa è che la si possieda, e non già per quale impulso la si sia cercata, per quale via la si sia trovata. Se gli spiriti liberi hanno ragione, allora quelli vincolati hanno torto, e non conta se i primi sian giunti alla verità per immoralità, e gli altri sian rimasti fermi alla non verità per moralità.

227.

Poiché gli spiriti vincolati possiedono i loro princìpi a causa della loro utilità, suppongono che anche lo spirito libero con le sue opinioni ricerchi il proprio utile e ritenga vero solo quello che gli giova. Ma, giacché sembra giovargli l’opposto di quel che giova ai suoi connazionali o a quelli del suo ceto, questi ritengono che i suoi principi sian pericolosi per loro; dicono o sentono: non può aver ragione, perché ci è di danno.

228.

Il carattere forte e buono. - La mancanza di indipendenza nelle opinioni, resa istinto dall’abitudine, porta a quel che si chiama la forza di carattere. Se qualcuno agisce in base a pochi motivi, ma sempre agli stessi, le sue azioni acquistano una grande energia; se queste azioni armonizzano con i principi degli spiriti vincolati, ottengono riconoscimento e inoltre producono in chi le compie il sentimento della buona coscienza. Pochi motivi, azioni energiche e buona coscienza costituiscono quel che vien detto fermezza di carattere.

All’uomo dal carattere forte manca la conoscenza delle molte possibilità e direzioni dell’agire; il suo intelletto non è libero, è vincolato, perché in un determinato caso gli mostra forse solo due possibilità; tra queste esso deve ora necessariamente scegliere, secondo tutta la sua natura, e fa ciò senza difficoltà e indugi, in quanto non deve scegliere tra cinquanta possibilità. L’educazione impartita dall’ambiente vuol rendere ogni uomo non libero, mettendogli davanti agli occhi sempre il minor numero di possibilità. Dai suoi educatori l’individuo viene trattato come se fosse sì qualcosa di nuovo, ma dovesse diventare una ripetizione. Se l’uomo appare dapprima come qualcosa di sconosciuto, di mai esistito, deve esser trasformato in qualcosa di conosciuto, di già esistito. In un bambino si chiama buon carattere il manifestarsi del suo legame verso ciò che è già esistito; e il bambino, mettendosi dalla parte degli spiriti vincolati, mostra per la prima volta il risvegliarsi in lui del senso della comunità; sulla base del quale egli diverrà più tardi utile al suo Stato o al suo ceto.

230.

Esprit fort. - Paragonato a colui che ha dalla sua parte la tradizione e per agire non ha bisogno di motivi, lo spirito libero è sempre debole, soprattutto nelle azioni; egli conosce infatti troppi motivi e punti di vista, ed ha perciò la mano insicura, maldestra. Quali sono i mezzi per renderlo relativamente forte, si che possa almeno affermarsi e non perisca inutilmente? Come nasce lo spirito libero (esprit fort)? E’ questa, in un caso particolare, la questione sul prodursi del genio. Da dove proviene l’energia, la forza inflessibile, la resistenza con cui l’individuo, contrapponendosi alla tradizione, cerca di acquisire una conoscenza affatto individuale del mondo?

231.

Il sorgere del genio. - L’ingegnosità con cui il prigioniero cerca i mezzi per liberarsi, il modo in cui sfrutta, con la massima pazienza e sangue freddo, ogni minimo vantaggio, può insegnare di quali strumenti si serva talvolta la natura per creare un genio - parola, questa, che prego intendere senza alcun riferimento mitologico e religioso -: essa lo rinserra in carcere ed eccita all’estremo la sua brama di libertà. O, con un’altra immagine: chi, in un bosco, si sia completamente smarrito e cerchi con straordinaria energia una direzione qualsiasi per uscirne fuori, può talvolta trovare un sentiero nuovo, che nessuno conosce: così nascono i geni di cui si celebra l’originalità. Abbiamo già detto che una mutilazione, una storpiatura, un grave difetto di un organo spesso danno modo a un altro organo di svilupparsi straordinariamente bene, dovendo esso adempiere la sua funzione e un’altra ancora. Di qui spesso si spiega l’origine di alcuni brillanti ingegni. Si applichino questi cenni generali sulla nascita del genio al caso particolare della nascita di uno spirito completamente libero.

Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell’avvenire (1886)

72.

Non la forza, ma la costanza di un alto sentimento fa gli uomini superiori.

30.

Esistono libri che hanno per l'anima e per la salute un valore opposto a seconda che se ne serva un'anima volgare, un'inferiore forza vitale, oppure la più elevata e possente; nel primo caso quei libri sono pericolosi, stritolano e dissolvono, nell'altro sono i richiami dell'araldo che invitano i più prodi a dar prova del loro valore. I libri per tutti sono sempre libri maleodoranti: vi si attacca l'odore della piccola gente. Dove il popolo mangia e beve, persino dove adora, lì di solito c'è fetore. Non bisogna entrare in una chiesa, se si vuole respirare aria pura.

43.

Alla fine tutto deve essere come è sempre stato; le cose grandi restano riservate ai grandi, gli abissi ai profondi, le cose delicate e i brividi alle anime delicate, e in parole brevi e sintetiche, le cose rare agli spiriti rari.

229.

Quasi tutto ciò che noi chiamiamo «cultura superiore», si basa sulla spiritualizzazione e l'approfondimento della crudeltà - questa è la mia tesi; quella «belva selvaggia» non è stata affatto uccisa, essa vive, fiorisce, si è solo - deificata. Ciò che costituisce la dolorosa voluttà della tragedia, è crudeltà; ciò che risulta gradevole nella cosiddetta compassione tragica, in fondo persino in ogni cosa sublime sino ai più alti e teneri brividi della metafisica, trae la sua dolcezza solo dall'ingrediente della crudeltà che vi è mescolato.

230.

La forza dello spirito nell'appropriarsi di ciò che gli è estraneo si manifesta in una vigorosa tendenza a rendere il nuovo uguale al vecchio, a semplificare il molteplice, a ignorare o spingere da parte ciò che è completamente contraddittorio: esattamente come essa sottolinea arbitrariamente e con maggior forza determinati tratti e linee in ciò che le è estraneo, in ogni frammento di «mondo esterno» e li mette in evidenza e li falsifica a proprio vantaggio. Facendo ciò essa tende a incorporare nuove «esperienze», a inserire nuove cose in vecchi ordini - dunque alla crescita; o più precisamente, alla sensazione della crescita, alla sensazione della forza aumentata.

A questa stessa volontà soccorre un impulso apparentemente opposto dello spirito, una decisione di ignoranza che erompe improvvisamente, di arbitrario isolamento, un chiudere le proprie finestre, un interiore dire no a questa o quella cosa, un non lasciare avvicinare, una specie di difesa contro le molte cose che possono essere conosciute, un accontentarsi del buio, dell'orizzonte che si chiude, un dire di sì e un ratificare l'ignoranza: tutto ciò è necessario a seconda del grado della sua forza di appropriazione, della sua «capacità digestiva», per dirla con una metafora - e infatti «lo spirito» assomiglia più che a ogni altra cosa ad uno stomaco. Allo stesso modo vi rientra l'occasionale volontà dello spirito di farsi ingannare, forse con la maliziosa intuizione che le cose non stanno così e così, ma che si lascia che esse appaiano così e così, e vi rientra il piacere di ogni insicurezza e polivalenza, un esultante autocompiacimento della volontaria angustia e intimità di un angolo della estrema vicinanza del primo piano, di quanto è ingrandito, rimpicciolito, rimosso, abbellito, un autocompiacimento per l'arbitrarietà di tutte queste manifestazioni di potenza. Vi rientra infine, quella inquietante prontezza dello spirito nell'ingannare altri spiriti e nel mascherarsi davanti a loro, quella costante oppressione e quello stimolo di una forza creatrice, formatrice, e mutevole: lo spirito vi assapora la molteplicità delle sue maschere e la sua astuzia, egli gode anche la sensazione della propria sicurezza, - proprio attraverso le sue arti proteiformi egli si difende e si nasconde nel modo migliore?

Contro questa volontà di esteriorità, di semplificazione, di maschera, di mantello, in breve di superficie - poiché ogni superficie è un mantello - opera quel sublime impulso dell'uomo della conoscenza il quale afferra e vuole afferrare le cose in profondità, nella loro complessità, alla base: come una sorta di crudeltà della coscienza e del gusto intellettuale che ogni valoroso pensatore ritroverà in sé, posto che, come si conviene, egli abbia indurito e aguzzato abbastanza a lungo il suo occhio verso se stesso e si sia abituato a una dura disciplina e a un linguaggio severo. Egli dirà «c'è qualcosa di crudele nella inclinazione del mio spirito» - cerchino pure di dissuaderlo le anime oneste e gentili! In effetti, sarebbe più gentile se di noi si riferisse, si mormorasse, si lodasse, invece della crudeltà, una «eccessiva onestà»: - di noi spiriti liberi, assai liberi - e suonerà forse veramente così, un giorno, la nostra - gloria postuma?

La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto (1887-1888)

112.

L'uomo superiore si differenzia da quello inferiore per la mancanza di paura e la sfida all'infelicità: è un segno di regressione, quando misure di valore eudemonistiche cominciano a valere come le più alte (affaticamento fisiologico, impoverimento della volontà ). Il cristianesimo con la sua prospettiva di «beatitudine» è un tipico modo di pensare per una specie d'uomo sofferente e immiserita: una forza piena vuole creare, soffrire, soffrendo decadere: per essa la salvezza bigotta del cristianesimo è una cattiva musica e i gesti ieratici una noia.

Passione/ragione
Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)

Volume I

70.

La volontà si vergogna dell'intelletto. - Con tutta freddezza facciamo progetti razionali contro le nostre passioni: ma rispetto ad essi commettiamo poi gli errori più grossolani, poiché spesso, nel momento in cui il proposito dovrebbe essere attuato, ci vergogniamo della fredda riflessione con cui l'abbiamo concepito. E in tal modo si fa proprio ciò che è irragionevole, per quella specie di caparbia generosità che ogni passione porta con sé.

217.

Mondo di lacrime alla rovescia. - I vari disagi procurati all'uomo dalle esigenze di una cultura superiore finiscono per invertire tanto la natura, che l'uomo di solito si comporta con rigore stoico, e riserva le sue lacrime solo per i rari accessi di felicità, anzi qualcuno è costretto a piangere già nell'assaporare l'assenza del dolore: - solo nella felicità il cuore batte ancora.

La gaia scienza (1882)

3. Nobile e volgare

In confronto [alla natura volgare], la natura più elevata è davvero più irragionevole: infatti chi è nobile, magnanimo, pronto al sacrificio soggiace di fatto ai suoi istinti, e nei suoi migliori momenti la ragione è disinserita.

La bestia che protegge il suo piccolo in pericolo di vita o, nel periodo della fregola, segue la femmina anche fino alla morte, non pensa al pericolo della morte, anche la sua ragione è disinserita, perché è completamente dominata dal piacere che gli procura il suo piccolo o la sua femmina e dal timore di esserne privato; diviene più stupida di quel che è normalmente, proprio come il nobile e il magnanimo. Per costui, le sensazioni di piacere e dispiacere sono così intense che di fronte ad esse l'intelletto deve tacere o mettersi al loro servizio: il cuore entra loro in testa e si parla allora di «passione» (ogni tanto si instaura anche il suo contrario, la cosiddetta «inversione della passione», ad esempio in Fontenelle, a cui qualcuno una volta mise la mano sul cuore dicendo: «Lei qui, carissimo, ha anche il cervello»).

Nel nobile la persona volgare disprezza l'irragionevolezza o ragionevolezza stravagante della passione, soprattutto quando è indirizzata su oggetti il cui valore gli pare totalmente fantastico e arbitrario. È irritato da colui che soggiace alla passione delle viscere, ma comprende il fascino che lo rende un tiranno; non comprende però come, ad esempio, si possa mettere in gioco la propria salute e il proprio onore per la passione della conoscenza.

57. Ai realisti.

Voi persone sobrie, che vi sentite corazzate contro passioni e fantasticherie e gradireste trarre dal vostro vuoto un motivo di orgoglio e ornamento, voi vi definite realisti e affermate che il mondo sarebbe davvero fatto come appare: soltanto a voi si svelerebbe la verità, e voi stessi ne sareste forse la parte migliore - oh, voi care immagini di Sais! Ma non siete anche voi, nel vostro stato di svelamento, esseri estremamente passionali e oscuri, rispetto ai pesci, e sempre troppo simili a un artista innamorato? E che cos'è la «realtà» per un artista innamorato! Continuate a portarvi in giro valutazioni delle cose la cui origine risiede nelle passioni e negli innamoramenti dei decenni precedenti! Nella vostra sobrietà è sempre incorporata un'ebbrezza misteriosa e indelebile! Il vostro amore per la «verità», ad esempio... esso si che è un «amore» antichissimo! In ogni sensazione, in ogni percezione sensoriale c'è un frammento di questo antico amore, come vi hanno lavorato intessendovi loro filamenti anche fantasticherie, pregiudizi, irragionevolezza, ignoranza, timore e chissà cos'altro! Quella montagna! Quella nuvola! Che cosa c'è di vero?

Toglietene, per una buona volta, i fantasmi e tutti gli ingredienti umani, voi esseri sobri! Sì, se solo poteste farlo! Se poteste dimenticare la vostra origine, il vostro passato, la vostra prescuola: tutta la vostra umanità e animalità! Per noi non c'è «realtà» - e neppure per voi, voi esseri sobri -; da tempo non siamo più estranei come credete, e forse la nostra buona volontà di superare l'ebbrezza è rispettabile quanto la vostra fede di essere assolutamente incapaci di ebbrezza.

Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell’avvenire (1886)

201.

Quanto o quanto poco pericolo per la collettività, pericolo per l'uguaglianza vi sia in un'opinione, in una condizione e in una passione, in una volontà, in un impegno, questa è ora la prospettiva morale: la paura è anche qui, di nuovo, la madre della morale. Contro gli istinti più alti e più forti, quando essi, erompendo appassionatamente, trascinano il singolo molto al di là e oltre la media e la bassezza della coscienza del gregge, perisce la coscienza di sé della comunità, la sua fede in sé, si spezza, per così dire, la sua spina dorsale: di conseguenza si preferisce addirittura bollare a fuoco e calunniare appunto questi istinti. La alta, autonoma spiritualità, la volontà di solitudine, la grande ragione vengono già sentite come pericolo; tutto ciò che innalza il singolo sopra il gregge e incute timore al prossimo prende d'ora in poi il significato di cattivo; l'atteggiamento equo, modesto, l'atteggiamento di chi si inserisce, l'uguaglianza, la mediocrità dei desideri vengono onorati e designati come morali. Infine, in condizioni molto pacifiche, manca sempre più l'occasione e la necessità di educare i propri sentimenti al rigore e alla durezza; e ora ogni rigore, anche nella giustizia, comincia a disturbare le coscienze: un’elevata e dura nobiltà e autoresponsabilità offende quasi e suscita diffidenza, «l'agnello», ancor più «la pecora» cresce in considerazione.

La misura ci è estranea, ammettiamolo, il nostro desiderio è appunto il desiderio dell'infinito, dello smisurato. Uguali al cavaliere che sul destriero si slancia ansante in avanti noi lasciamo cadere le briglie davanti all'infinito, noi uomini moderni, noi semibarbari e troviamo la nostra felicità solo lì dove siamo anche maggiormente in pericolo.

La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto (1887-1888)

310.

Tutta la concezione del rango delle passioni: come se fosse giusto e normale essere guidati dalla ragione, mentre le passioni sarebbero l'anormale, il rischioso, il semibestiale, e inoltre, secondo il loro scopo, nient'altro che desideri di piacere...

La passione è umiliata 1. come se soltanto in modo indebito e non necessariamente e sempre fosse il movente 2. in quanto tende a qualcosa che non ha un elevato valore, a un piacere...

Il disconoscimento di passione e ragione, come se quest'ultima avesse un'essenza per sé e non fosse piuttosto uno stato di rapporto fra diverse passioni e desideri; come se ogni passione non avesse in sé il suo quantum di ragione…

353. «Seguire il proprio sentimento?»

Rischiare la propria vita, cedendo a un generoso sentimento, e nell'impeto di un attimo: ha poco valore.., e non distingue nemmeno... nel saper fare questo son tutti uguali - e nel risolversi a ciò sicuramente il delinquente, il bandito e il Corso sono superiori a noi uomini onesti...

Il grado più alto sta nel superare in sé anche questo impeto e nel fare l'azione eroica non per impulso, - ma a freddo, raisonnable, senza l'impetuoso fluttuare di sentimenti di piacere...

La stessa cosa vale per la compassione: deve essere prima abitualmente vagliata attraverso la raison, altrimenti è altrettanto rischiosa di qualunque altro affetto...

Abbandonarsi ciecamente a un sentimento, non importa molto che sia generoso e compassionevole o ostile, è causa dei più grandi mali...

La grandezza del carattere non sta nel non aver questi sentimenti - anzi, bisogna averli in massimo grado, ma nel tenerli a freno.., e anche qui non per il gusto di questa sottomissione, ma semplicemente perché...

Il caso Wagner. Un problema di musicisti (1888)

Lettera da Torino del maggio 1888

6.

Studiamo innanzitutto gli strumenti. Alcuni di questi persuadono addirittura le budella (aprono le porte, per dirla con Handel), altri ammaliano il midollo spinale. Qui a decidere è il colore del suono; quel che risuona non ha praticamente nessuna importanza.

Raffiniamoci in questo punto! A che scopo sprecarci altrimenti? Siamo, nel suono, caratteristici sino alla follia! Se daremo molto a indovinare con i suoni, lo si ascriverà al nostro spirito! Irritiamo i nervi, battiamoli a morte, maneggiamo tuono e fulmine ciò sconvolge... Ma ciò che soprattutto sconvolge è la passione. - Intendiamoci sulla passione.

Nulla è più a buon mercato della passione! Si può fare a meno di tutte le virtù del contrappunto, non occorre aver imparato nulla la passione la si conosce sempre! La bellezza è ardua: guardiamoci dalla bellezza!... E la melodia, poi! Screditiamo, amici miei, screditiamo, se mai per noi l'ideale è una cosa seria, screditiamo la melodia! Nulla è più pericoloso di una bella melodia! Nulla rovina più sicuramente il gusto! Siamo perduti, amici miei, se si riprenderà ad amare le belle melodie!...

Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello (1888)

Il problema di Socrate

11.

Ho fatto capire come Socrate affascinava: egli appariva come un medico, come un salvatore. E’ ancora necessario indicare l'errore insito nel suo credere alla «razionalità a ogni costo»? I filosofi e i moralisti ingannano se stessi se credono di uscire dalla décadence per il solo fatto di combatterla. L'uscirne fuori va oltre le loro forze: quello che essi scelgono come rimedio, come salvezza, è a sua volta soltanto una ulteriore espressione della décadence - essi trasformano la sua espressione, ma non la eliminano.

Socrate fu un equivoco; l'intera morale del miglioramento, anche quella cristiana, fu un equivoco... La più abbagliante luce diurna, la razionalità a ogni costo, la vita chiara, fredda, cauta, cosciente, senza istinto, in opposizione agli istinti, fu essa stessa soltanto una malattia, un'altra malattia - e niente affatto un ritorno alla «virtù», alla «salute», alla felicità... Dover combattere gli istinti ecco la formula della décadence, sino a che la vita si innalza, felicità è uguale a istinto.

Morale come contronatura

1.

Tutte le passioni hanno un tempo in cui sono soltanto funeste, e con il peso della stupidità trascinano in basso la loro vittima e un tempo più tardo, assai più tardo, in cui si sposano con lo spirito, si «spiritualizzano». Una volta, a causa della stupidità insita nella passione, si faceva guerra alla passione stessa: si congiurava per annientarla tutti i vecchi mostri della morale sono unanimi sul fatto che «il faut tuer les passions». La formula più famosa di questo è nel Nuovo Testamento, in quel Discorso della Montagna in cui, detto tra parentesi, le cose non vengono affatto considerate dall'alto. Ad esempio vi si dice, riferendosi alla sessualità, «se il tuo occhio ti molesta, strappalo»: fortunatamente nessun cristiano agisce secondo questo precetto. Annientare le passioni e i desideri unicamente per prevenire la loro stupidità e le spiacevoli conseguenze della loro stupidità, oggi ci appare soltanto come una forma acuta di stupidità. Non ammiriamo più i dentisti che strappano i denti affinché non dolgano più...

La «ragione» nella filosofia

5.

Contrapponiamo infine il modo diverso in cui noi (- dico noi per cortesia...) guardiamo al problema dell'errore e dell'apparenza. Una volta si considerava la trasformazione, il mutamento, il divenire in genere come prova dell'apparenza, come segno che doveva esserci qualcosa ad indurci in errore. Oggi invece, nell'esatta misura in cui il pregiudizio della ragione ci costringe a stabilire unità, identità, durata, sostanza, causa, materialità, essere, ci vediamo in certo qual modo irretiti nell'errore, necessitati all'errore; per quanto siamo sicuri, in base a una rigorosa verifica con noi stessi, che qui stia l'errore. Accade esattamente come per i movimenti di un grande astro: lì l'errore ha per costante avvocato il nostro occhio, e qui il nostro linguaggio.

Il linguaggio appartiene, secondo la sua origine nel tempo, alla forma più rudimentale di psicologia: se prendiamo coscienza dei presupposti fondamentali della metafisica del linguaggio - in parole più chiare, della ragione penetriamo in un rozzo feticismo. Esso vede ovunque autore e atto: crede nella volontà come causa in generale; crede nell'«io», nell'io come essere, nell'io come sostanza, e proietta la fede nell'io-sostanza su ogni cosa solo così crea il concetto di «cosa»...

L'essere viene penetrato col pensiero, interpolato ovunque come causa; solo dalla concezione dell'«io» segue, come derivato, il concetto di «essere»... All'inizio sta la grande sciagura dell'errore per cui la volontà è qualcosa che agisce, - per cui la volontà è una facoltà... Oggi noi sappiamo che è solo una parola...

Solo molto più tardi, in un mondo mille volte più illuminato, i filosofi si accorsero con sorpresa della sicurezza, della soggettiva certezza nell'adoperare le categorie della ragione: essi conclusero che queste non potevano derivare dall'empiria, anzi, che tutta quanta l'empiria era in contraddizione con esse. Da dove provenivano dunque? E tanto in India quanto in Grecia si commise lo stesso errore: «già una volta abbiamo dimorato in un mondo superiore ( -anziché in uno assai inferiore: il che sarebbe stata la verità!), dobbiamo essere stati divini, giacché abbiamo la ragione!»...

In effetti, nulla ha sinora posseduto più ingenua forza persuasiva dell'errore dell'Essere, come per esempio fu formulato dagli Eleati: esso ha a suo favore ogni parola, ogni frase che pronunciamo! - Anche gli avversari degli Eleati soggiacquero alla seduzione della loro idea di Essere: tra questi Democrito, quando inventò il suo atomo... La «ragione» nel linguaggio: oh, che vecchia donnaccia ingannatrice! Temo che non ci libereremo di Dio perché crediamo ancora alla grammatica...